"Prova percorsi alternativi, impara a guardare le cose da prospettive diverse e abbi il coraggio di prendere le tue strade."Alex Bellini
E' un libro straordinario quello di Alex Bellini, ma ancora più straordinaria è stata l'impresa che l'ha portato dal Perù all'Australia con una piccola barca a remi. Alex ha compiuto da solo l'epica traversata, l'unica compagnia era un'ora a settimana in collegamento con una radio italiana, il telefono satellitare per sentirsi con la moglie e gli uccelli e pesci che ogni giorno vengono a salutarlo. Alcuni vengono a scrutare le sue intenzioni altri vanno a riposarsi sulla sua testa nel centro dell'Oceano più grande del globo.
Alex supererà dieci fusi orari, quasi ventimila km per un totale di milioni e milioni di remate. Una cosa incredibile. Come quando viene accerchiato da un gruppo di balene che lo accompagnano per qualche miglia e gli fanno passare ore tra l'incredulità iniziale e il panico successivo.
Sono stati necessari 12 mesi di preparazione per questo immane sforzo ma soprattutto occorreva una enorme forza psicologica che si è dovuta manifestare decine di volte per evitare di abbandonare la traversata.
"Era come se il mondo delle terre
emerse fosse scomparso d'improvviso", con queste parole Alex Bellini scrutava continuamente l'orizzonte alla ricerca disperata di una qualsiasi terra emersa prima e di una qualunque forma di vita poi. Esperienza bella ma difficilissima.
L'insegnamento che ci lascia questo libro è che il valore di un uomo non si misura con i traguardi bensì con i sogni. Così quell'Australia tanto attesa e desiderata passa in secondo piano quando si rende conto che il senso del viaggio è il viaggare stesso e non il raggiungemento di una meta. Bellissimo senso del viaggi. Nei lunghissimi dieci mesi di viaggio, la moglie non tarderà mai a spronarlo per andare avanti e compiere l'impresa. Un libro favoloso che consiglio a tutti.
Buona lettura.
“The only people for me are the mad ones, the ones who are mad to live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at the same time, the ones who never yawn or say a commonplace thing, but burn, burn, burn like fabulous yellow roman candles exploding like spiders across the stars.” Jack Kerouac- On the Road
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mercoledì 17 settembre 2014
Itaca
Itaca di Constantino Kavafis
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
martedì 16 settembre 2014
Viaggio dentro ad Angola, L’Alcatraz del Sud
da "Corriere della Sera" di Marzio G. Mian
Gli uomini, tutti neri, sono chini e muti. Indossano pantaloni blu, casacche bianche o celesti, usano guanti gialli. Calzano stivaloni di gomma, in capo quasi tutti hanno calati logori cappellacci di paglia o berretti da baseball, qualcuno non smette il poco raccomandabile cappuccio della felpa. Se non fossero tenuti sotto tiro dalle guardie a cavallo sembrerebbero immigrati arruolati nella raccolta dei pomodori in Puglia. Dalla strada sterrata, senti solo qualche colpo di tosse provenire dal profondo del campo o qualche prolungato mugolio o sbuffo prodotto dallo sforzo dei più corpulenti nel momento d’alzarsi e deporre le grosse rape nei secchi; a fare attenzione il vento caldo porta a folate le note d’un soffocato canto lontano, laggiù nel campo – ma forse sono solo i fantasmi di questa ex piantagione, una delle più infami del Sud e della Louisiana, coltivata da schiavi provenienti soprattutto dall’Angola, un nome che divenne una garanzia di maledizione sia per i neri condotti in catene a raccogliere il cotone sia per i detenuti tradotti in catene quando Angola, ai primi del Novecento, divenne il più grande carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, 7.300 ettari, 73 chilometri quadrati, più esteso di Manhattan.
Difatti Burl Cain e la morte s’incontrano, accade quando è l’ora dell’iniezione: lui è lì puntuale che tiene la mano al condannato. Burl Cain è l’ultima visione del condannato prima di chiudere gli occhi. E’ stato dopo la prima esecuzione che Burl Cain ha deciso di dedicare la sua vita a Cristo, di “far rinascere i criminali in Cristo”, in un certo senso di essere Cristo: “Ho sentito che quell’uomo stava andando all’Inferno e che avrei potuto evitarlo” ha detto a Time. Ha anche confessato che sua moglie intende lasciarlo perché “non vuole vivere con un killer”. Il suo predecessore, Murray Henderson, è ancora ad Angola, ma come detenuto, perché ha ammazzato la moglie con cinque colpi.
Gli uomini, tutti neri, sono chini e muti. Indossano pantaloni blu, casacche bianche o celesti, usano guanti gialli. Calzano stivaloni di gomma, in capo quasi tutti hanno calati logori cappellacci di paglia o berretti da baseball, qualcuno non smette il poco raccomandabile cappuccio della felpa. Se non fossero tenuti sotto tiro dalle guardie a cavallo sembrerebbero immigrati arruolati nella raccolta dei pomodori in Puglia. Dalla strada sterrata, senti solo qualche colpo di tosse provenire dal profondo del campo o qualche prolungato mugolio o sbuffo prodotto dallo sforzo dei più corpulenti nel momento d’alzarsi e deporre le grosse rape nei secchi; a fare attenzione il vento caldo porta a folate le note d’un soffocato canto lontano, laggiù nel campo – ma forse sono solo i fantasmi di questa ex piantagione, una delle più infami del Sud e della Louisiana, coltivata da schiavi provenienti soprattutto dall’Angola, un nome che divenne una garanzia di maledizione sia per i neri condotti in catene a raccogliere il cotone sia per i detenuti tradotti in catene quando Angola, ai primi del Novecento, divenne il più grande carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, 7.300 ettari, 73 chilometri quadrati, più esteso di Manhattan.
No, non è un film
Un luogo dove la sofferenza imbratta ancora la terra: nel 1951 trentuno detenuti si tagliarono i tendini d’Achille per protestare contro le brutali condizioni. “Benvenuti nell’Alcatraz del Sud” dice con orgoglio Gary Young, ex secondino, la nostra guida in questa visita esclusiva nel carcere più raccontato del cinema americano, da “Dead Man Wolking” a “Monster’s Ball” al “Miglio Verde” a “Il mago della truffa” a “Jfk”. Dei 6.300 detenuti 5120 non usciranno mai da qui: moriranno con un ago in vena nella stanza delle esecuzioni, oppure – condannati al carcere a vita – se ne andranno quando sarà la loro ora; ma non varcheranno lo stesso il cancello, perché la cassa d’abete palustre costruita dai compagni della sezione falegnameria, i quali da quattro anni hanno smesso di costruire comodini e assemblano solo bare, verrà deposta nella terra rossa di Angola. “I primi ad abbandonare il prigioniero sono i compagni della banda, poi la moglie, poi gli amici, poi i figli. Quando muore la madre non viene più nessuno. Dietro il feretro solo i compagni di cella e il pastore. è sempre molto commovente e intenso” dice Young. Chi è uscito con le sue gambe è Glenn Ford, 64 anni. Era nel braccio della morte da 30 anni, proprio come i fratelli McCollum rinchiusi in Nord Carolina e liberati il 2 settembre scorso grazie alla prova del Dna. Glenn in aprile è stato riconosciuto innocente dall’accusa di omicidio e vittima di discriminazione perché condannato a morte da una giuria di soli bianchi.La cura di mister Cain
“La giustizia degli uomini non è quella di Dio. Ma la cosa bella” assicura Young “è che qui con la nostra riabilitazione morale si muore comunque nella grazia di Dio. Poi ognuno andrà nel posto che gli spetta, Inferno o Paradiso, dipende, ovvio”. Infatti Angola è, secondo una recente denuncia dell’Unione americana per le libertà civili, “un centro d’integralismo cristiano” perché il controverso direttore Burl Cain ha lasciato mano libera ai predicatori, ha imposto la costruzione di cappelle in ognuno dei cinque “padiglioni” recintati di Angola e lo studio della Bibbia, anzi un vero e proprio seminario obbligatorio che forma pastori e dj per la radio del carcere che spara a palla prediche e gospel 24 ore su 24 (prima di Cain la radio era segnalata anche da Rolling Stone magazine per la sua sofisticata e laicissima playing list, soprattutto per il rock). Sta di fatto che quello che era il carcere più violento d’America è diventato, dopo la sacra cura, un esempio di redenzione e convivenza: “Oggi è lunedì” dice Young “bene, per tutto il fine settimana non c’è stata nemmeno una zuffa. Da quando è arrivato mister Cain le violenze sono calate dell’85 per cento”. Nel 1995 hanno registrato 799 aggressioni tra detenuti e 192 attacchi alle guardie, quest’anno solo 53 incidenti gravi tra galeotti e 15 ai danni dei carcerieri. Nelle carceri della Bible Belt, soprattutto qui in Louisiana – leader mondiale nei posti letto in galera, 13 volte più dell’Iran (un nero su 14 a New Orleans è dietro le sbarre) – e per la destra religiosa americana il potente Burl Cain è intoccabile almeno quanto la pena di morte.Difatti Burl Cain e la morte s’incontrano, accade quando è l’ora dell’iniezione: lui è lì puntuale che tiene la mano al condannato. Burl Cain è l’ultima visione del condannato prima di chiudere gli occhi. E’ stato dopo la prima esecuzione che Burl Cain ha deciso di dedicare la sua vita a Cristo, di “far rinascere i criminali in Cristo”, in un certo senso di essere Cristo: “Ho sentito che quell’uomo stava andando all’Inferno e che avrei potuto evitarlo” ha detto a Time. Ha anche confessato che sua moglie intende lasciarlo perché “non vuole vivere con un killer”. Il suo predecessore, Murray Henderson, è ancora ad Angola, ma come detenuto, perché ha ammazzato la moglie con cinque colpi.