venerdì 15 maggio 2015

Il brivido è andato


E’ morto BB King, e già questo basterebbe per chiudere questo pezzo. Il re del blues, il più profondo conoscitore vivente del blues è morto a 89 anni a Las Vegas.
Il mondo della musica lo piange ma soprattutto lo piange Lucille. Chi è Lucille? E’ una storia lunga.


Siamo a metà anni ’50 in Arkansas, un territorio arido e quasi spopolato, ci sono passato in Arkansas ed è la faccia più dura della vecchia America. Certo io ci sono passato nel 2014.  E’ attaccata al Tennessee e un ponte collega la mitica Memphis con lo stato. Mi ci sono trovato per caso, di notte e mi sono accorto che ero entrato solo perché ho trovato il posto di blocco della polizia e il cartello di benvenuto, poi ho girovagato per 30 km all’interno dello stato e sono tornato in Tennessee. Avrò incontrato forse 2 macchine.
Ma torniamo agli anni 50, e forse in Arkansas di macchine non Ne esistevano veramente, ma c’erano le bettole e i locali dove si suonava blues ed è li che c’era un cantante di colore ormai conosciuto in tutta l’America di colore. Si chiamava Riley B. King ma si faceva chiamare Beale Street Blues Boy, in onore alla famosa strada di Memphis. Le successive abbreviazioni (Blues Boy) lo portarono a chiamarsi ed essere conosciuto come B.B.King.
C’era un concerto in Arkansas e la gente beveva e ballava, quando c’era un cantante di colore il pubblico era soprattutto di colore, ma quel tipo strano che si faceva chiamare BB king portava anche qualche bianco. Sapete è l’America degli anni ‘50 e soprattutto è l’Arkansas di quegli anni, dove uno di colore diventa famoso solo se fa il pugile o suona il blues. BB king a dispetto della sua forma è un buono, e quindi decide di suonare il blues per scappare ai campi di cotone, alla fame. A undici anni è già orfano di madre e abbandonato dal padre, vive in una capanna trasandata a Itta Bena e solo nel 1943 scappa a Indianola, Mississippi, e poi in autostop a Memphis, Tennessee, dove imparò a suonare la chitarra con il cugino Bukka White. L’ha visto fare a uno di colore in una strada di Indianola e la gente gli dava anche monete. L’ha visto fare al reverendo del paese e vuole provare da tanto tempo. 

In Arkansas gli uomini bevono, perché non c’è altro e anche quella sera bevono e parecchio. Bevono soprattutto due e litigano per una donna. Gli animi si surriscaldano e tra una parola e l’altra volano pugni e qualcuno appicca il fuoco alla sala. Tutti scappano e resta dentro solo il cantante di colore, perché è rientrato a salvare la sua chitarra, gli era costata 2 anni di lavoro sui campi e migliaia di libbra di cotone. Riuscì a salvarsi perché l’edificio cadde sotto le fiamme e si aprì un varco. Uscì sano e malconcio BB King e venne a sapere che tutto era successo per una certa Lucille.
Da allora ogni chitarra e la sua mitica Gibson ES-355 si chiameranno sempre Lucille.
La stessa Lucille che ha fatto sognare milioni d’innamorati nel mondo, milioni di appassionati del blues, che ha ispirato centinaia di lavoratori lungo le vie del Mississippi e ha letteralmente creato mostri sacri del blues come Eric Clapton, Buddy Guy, Stevie Ray Vaughan e decine di chitarristi rock che da sempre hanno affermato di ispirarsi a BB king, da Bruce Springsteen a Bono degli U2, da Jeff Beck a Van Morrison da Phil Collins a Zucchero.
Ha suonato con tutti BB King, o meglio tutti hanno voluto suonare con lui, persino Pavarotti che lo volle a Modena per il suo Pavarotti and Friends. E’ citato in decine di canzoni e ogni turista che va negli Stati Uniti ha l’obbligo di fermarsi almeno per un Hot Dog nella catena BB KING Club dove puoi ascoltare 24h no stop musica live.
E’ passato da schiavo al tetto del mondo, l’ha voluto Obama alla casa bianca per conferirgli la massima onorificenza degli States in campo artistico, lui ha ricambiato con un Sweet Home Chicago cantato in tandem. 

Non è mai cambiato, è sempre stato l’uomo generoso e rispettoso del suo passato, basta leggere le decine di autobiografie in suo onore, ma una su tutte, “Blues All around me” in cui è lui stesso che si racconta. C’è un documentario bellissimo sul Re, si chiama “The life of Riley” in cui tutti i più grandi chitarristi al mondo lo omaggiano. La voce narrante è quella di Morgan Freeman. Alla domanda su come fai a riconoscere il suono di BB king tutti rispondono con un semplice “one note”. Da Santana a Clapton tutti innamorati dal sound del Re.

Bono nell’ultima intervista dice “Non è grande, è il più grande senza dubbio”. D'altronde era il destino di uno che di cognome faceva King.
Ora che quel brivido è andato, non a caso thrill is gone, mi piace pensarlo seduto su una nuvola con la sua grande Lucille ad accompagnare il ritmo delle giornate. E' l'uomo che mi ha fatto amare il blues più di ogni altro.

Ci resterà la sua mimica facciale, la sua umiltà quando a 85 anni gli danno la laurea honorem e la cittadinanza di una stato del sud e si mette a piangere dicendo “I’m so happy”, le centinaia di canzoni che non ho voluto citare appositamente, le esibizioni al Crossover di Chicago, i suoi 15 grammy award,i suoi 50 album, la forza di chi il blues lo sente e non solo lo sapeva suonare, il suo Sud, Baele Street, la risata, tutte le canzoni che ho sentito nell’infanzia, one note, il blues, Lucille che piange silenziosamente.
Blues never die